*Giuseppina Broccoli ( Sant'Ambrogio Sul Garigliano, Frosinone, 1958). Nata in una famiglia di emigranti, ha studiato alla "Sapienza" di Roma senza laurearsi, viaggiato e lavorato a Oxford. Vive e lavora ora a Milano e le piace scrivere.
16 maggio 2010
Cara Giuseppina,
visto che hai fiducia in me, mi permetto innanzitutto di scherzare. Ti do subito un consiglio: sbarazzati (o tieni a bada, se non ce la fai) l’auto-umiliazione. A parte il fatto che oggi il cuore è sbeffeggiato e viene esaltato il fegato o lo stomaco fornito di pelo, perché mai il «cuore degli impiegati» dovrebbe “sentire” meno - che so - di quello dei professori o di altre persone? E poi ancora: ma hai misurato «l’altezza» di tutti noi (di Moltinpoesia) per dire che sei più in basso? E lo sforzo di chi si sente “piccolo” è davvero quello di competere coi (supposti) grandi?
Per capire meglio i pochissimi frammenti di scritti che mi hai inviato, avrei bisogno di sapere da quando va avanti questa tua ricerca, se fanno parte di un progetto già delineato, ecc.
Alla prima lettura mi pare che sei impegnata nel rendere in parole nuclei emozionali della tua vita (e l’infanzia ovviamente bussa subito per farsi aprire…) ma anche di storia, quella dei paesi della provincia di Cassino (da cui provieni o nei quali sei vissuta per qualche tempo?) a te pervenuta attraverso la memoria di vecchi parenti o conoscenti. Vedo poi che rendi gli stessi episodi in “prosa” e in “poesia”: una sorta di oscillazione tra forma poetica e forma narrativa, comune a tanti (anche a me).
La prima cosa che ti direi di fare è proseguire, andare più avanti, “buttar fuori” disordinatamente (“come viene”) quello che ti passa per la mente su questi e altri temi, in modo da avere tanto materiale, da leggere e rileggere per scoprirvi dentro un filo, un senso, altri spunti. La seconda è raccontare per un lettore immaginario, che ti devi inventare tu (Un vecchio o una vecchia parente? Un professore esigente? Un’amica complice? Un’amica ostile?): ti potrà aiutare a modellare la narrazione, a distanziarti dai “tuoi” sentimenti, a vedere le cose anche con gli occhi e i sentimenti altrui (o tenendo conto, nel dirle, delle possibili obiezioni; e farti più “furba” narrativamente…). La terza è di rendere in terza persona quello che ti viene in prima. Ad es. proverei a riscrivere il primo ricordo cambiando il punto di vista, scegliendo che so quello di una vicina, per vedere quali sfumature diverse prendono le stesse immagini.
Se possono servirti dei giudizi netti (da “critico”), ti direi:
1) nel primo testo ci sarebbe da mettere meglio a fuoco e svilupparli a fondo i due nuclei narrativi centrali per me: - il contrasto tra l’immagine infantile e benefica di aereo, che hanno le due bimbe, e l’immagine dell’aereo che “ruba” il padre; - il conflitto tra voglia di emancipazione sociale (e/o di fuga?) del padre e il desiderio di stabilità, di vita “chiusa” (di auto mortificazione?) della madre ;
2) nel secondo testo narrativo, trovo troppo indeterminato quell’indicazione ( “i miei antenati”: chi sono? Inventa nomi etc..), entrerei nei dettagli con un racconto da vivo della nonna ( o ne riporterei il contenuto attraverso il racconto della nipote o altro); e preciserei anche il punto di vista da cui oggi tu o il personaggio-maschera, a cui affidare il racconto, vedi e giudichi quei fatti, quei comportamenti, quelle credenze. Se il personaggio-maschera fosse la “bambina che eri” dovresti cercare di rendere le sue paure e i suoi pensieri di allora anche inventando adesso e spalleggiandola per far venir fuori quel clima (e non ricorrere a un giudizio di adulta d’oggi che usa il linguaggio d’oggi: «si praticava una vera e propria repressione psicologica che per secoli ha sottomesso gli umili nella Terra di lavoro della bassa provincia di Frosinone (e non solo)».
[...]
Un caro saluto
Ennio
Nessun commento:
Posta un commento