Note e riflessioni sulle scritture di amici e amiche

Alla ricerca di un senso nel mondo instabile e molteplice che poco conosciamo

Ai visitatori. Su questo blog (abbozzato nel 2010) pubblicherò le mie note di lettura sui testi editi o inediti. Nel caso di testi editi ritengo di poter esercitare liberamente il comune diritto alla critica. Per gli inediti, se necessario, chiederò prima l'autorizzazione ai diretti interessati. [E.A.]

15 luglio 2011

sabato 30 luglio 2011

Su Franco Marchese*
Bozza editoriale n.1 di Chichibìo*

* Franco Marchese  ha insegnato  in un liceo scientifico di Palermo. E' coautore di manuali di letteratura italiana e condirettore di "Chichibìo".



Cologno Monzese 19 dic. ’98

                                                                                           

Caro Marchese,

                        […]sottopongo alla tua attenzione  alcune critiche, che non ebbi modo di esporre nella riunione del gruppo fondatore di Chichibìo a Firenze e che la lettura della tua bozza di editoriale mi induce a ripresentare. La nostra collaborazione è appena agli inizi, ma spero che la mia schiettezza non la turbi o impedisca.

Comincio col dirti che accolgo  a malincuore il titolo scelto per la rivista.

Riconosco che Chichibìo è nome-simbolo di letteratura italiana, personaggio noto ad ogni insegnante d’italiano e perciò coerente - come tu dici - con «un’idea alta dell’insegnamento dell’italiano» e con l’intento di non «disperdere l’eredità di un umanesimo - non fossile, non vacuo». Esso però, secondo me, è anche un simbolo negativo: è personaggio che accetta in maniera incondizionata la gerarchia servo-padrone, che a me pare inseparabile dalla tradizione umanistica. Chichibìo, infatti, è figura troppo appagata e del tutto conclusa in un intelligente servilismo. Non contesta al signore il diritto - suo e dell’allegra brigata nobiliare – di banchettare e farsi servire la gru. Ne sottrae, e di nascosto, solo una coscia. E la battuta intelligente e ironica con cui riesce infine a farla franca ribadisce la sua situazione di sottomesso. Ora mi chiedo: è solo o proprio a questa tradizione che possiamo oggi rifarci? Non ci sono nella letteratura italiana servi quantomeno più audaci? Ma, la decisione è presa, non sto a recriminare; e passo al discorso di presentazione da te delineato nella bozza.

Su Carlo Oliva*
Lettera
a una studentessa
Savelli, Roma 1978

* Carlo Oliva (Milano 1943). Scrittore e giornalista. Ha insegnato lettere antiche e moderne nei licei, scritto in passato su riviste “storiche”, tra cui S (foglio situazioni sta degli anni ’60), Ombre rosse, Quaderni  piacentini, Linus e A-rivista anarchica. Si è occupato di ideologia del linguaggio, di gialli e narrativa popolare in genere.  Collabora da vent’anni con Felice Accame nella trasmissione Caccia all’ideologico quotidiano a «Radio Popolare di Milano».Altre notizie sul sito Carlo Oliva

I nostri antenati
La tentazione di Orbilius
Intervista di Ennio Abate a Carlo Oliva (1999)
  
-        Partiamo dall’inizio. Come nacque Lettera ad una studentessa?
-        Questo libro era nato da un’idea di Luigi Manconi. Lui allora era nella direzione editoriale della Savelli e collaboravamo insieme ad Ombre rosse. Nella collana da lui diretta (“Attualità politica”) uscivano testi politici d’esplorazione, di frontiera. E questo libretto era stato pensato come una parodia. Ci pareva che le argomentazioni allora correnti sulla scuola, sul lavoro dell’insegnante, sullo studente  fossero deboli. Ma altrettanto fiacco ci pareva il punto di vista dei tradizionalisti. Insomma non erano convincenti né gli uni né gli altri. Volemmo allora sviluppare per eccesso le posizioni dei tradizionalisti d’allora, per mostrarne appunto la debolezza. Oltretutto  in quegli anni – siamo attorno al ‘78‘79 –  il movimento degli insegnanti si trovava su un crinale: stava per rinunciare alle posizioni antiautoritarie e libertarie e volgersi alla riscoperta del proprio ruolo e al recupero della figura tradizionale.
-        Orbilius è dunque una maschera del docente di allora.
-        Sì, sia del vecchio insegnante che non aveva capito niente del ’68 sia di quello che cominciava a stancarsi e ripensava la propria professionalità in termini tutto sommato tradizionali. Il nome classico aveva questo significato. Orbilius è una figura storica, citata in una delle Satire di Orazio, che si lamentava di aver dovuto studiare sotto la sua egida autori per lui arretrati e poco interessanti (e di essere preso a frustate quando non lo faceva).

Su Giuseppina Broccoli*
Alcuni inediti

*Giuseppina Broccoli ( Sant'Ambrogio Sul Garigliano, Frosinone, 1958). Nata in una famiglia di emigranti, ha studiato  alla "Sapienza" di Roma senza laurearsi, viaggiato e lavorato a Oxford. Vive e lavora ora a Milano e le piace scrivere.

16 maggio 2010

Cara Giuseppina,

visto che hai fiducia in me, mi permetto innanzitutto di scherzare. Ti do subito un consiglio: sbarazzati (o tieni a bada, se non ce la fai) l’auto-umiliazione. A parte il fatto che oggi il cuore è  sbeffeggiato e viene esaltato il fegato o lo stomaco fornito di pelo, perché mai il «cuore degli impiegati» dovrebbe “sentire” meno - che so - di quello dei professori o di altre persone? E poi ancora: ma hai  misurato «l’altezza» di tutti noi (di Moltinpoesia) per  dire che sei più in basso? E lo sforzo di chi si sente “piccolo” è davvero quello di competere coi (supposti) grandi?

Su Marco Ceriani*
"Memoriré"
Lavieri Editore 2010


*Marco Ceriani (1953). Poeta. Ha pubblicato, oltre a Memoriré,  Sèver (Marsilio, 1995) e Lo scricciolo penitente (Libri Scheiwiller, 2002). E’ traduttore di Vladimir Holan e critico  di poesia  su  varie riviste.

8 gennaio 2011
 

Ho ricevuto subito due commenti viscerali e respingenti appena ho fatto circolare la mia proposta di leggere alcune poesie di Marco Ceriani, il poeta oscuro (poco noto, “che non si capisce”), in vista della presentazione della sua ultima raccolta Memoriré Lunedì 10 gennaio [2011] alla Libreria popolare di Via Tadino 18 a Milano.
Non mi sono scandalizzato. Anch’io non capisco queste poesie. Sono lontane dal mio modo di scrivere e dall’idea più o meno precisa che mi sono fatto della poesia da scrivere. Ma non  ne faccio motivo di vanto (né di colpa). Mi sento invece incuriosito, sfidato e spinto a cercare in qualche maniera una strategia d’avvicinamento a una ricerca tanto insolita, diversa.
Ceriani mi appare come  un uno che la poesia se la fa per conto suo, un eremita, un mistico, uno scalatore  che preferisce trovare e praticare  da solo percorsi sulle montagne  più ardue.

Su Biagio Cepollaro*
Un’intervista (mancata)
sulle sue scritture
giugno 2006

*Biagio Cepollaro ( Napoli, 1959). Poeta e teorizzatore del “postmoderno critico”. Ha fondato con altri la rivista sperimentale Baldus (1990-1996)  e promosso il Gruppo ’93. Dal 2004 ha avviato, sul suo sito ufficiale (http://www.cepollaro.it/), le edizioni on line di Poesia italiana E-book  e altre numerose iniziative di poesia e critica.

 

 

1.
È sbagliato pensare che nella tua poesia la formazione letteraria (letture, partecipazione a gruppi poetici, ecc.) abbia avuto un maggior peso rispetto alla tua esperienza della “gente comune”, cioè distante o più estranea all’immaginario letterario?

2. 
Lo scriba. Dai più volte  «un autoritratto sfregiato» (Luperini) dello scrittore contemporaneo. Majorino, invece, in Prossimamente  ne parla ancora con convinzione (e mie perplessità) come di un protagonista, un «eroe scrivente».  Non ti pare che, anche nell’area della scrittura “di resistenza” alla Foucault (escludo i commercializzati) - sia che si usino toni dimessi o forti - ci si ostini a testimoniare più la sofferenza e il disagio degli scrittori che dei non scrittori? che, insomma, gli scrittori restino ai margini sia del potere che opprime che della sofferenza dei molti che lo subiscono o vi si adattano?

giovedì 28 luglio 2011

Su Pietro Cataldi*
Perché leggere Dante (oggi)?
in Allegoria n. 31 Aprile 1999

* Pietro Cataldi (Roma, 1961) è professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea all'Università per stranieri di Siena. È nel comitato direttivo di «Allegoria». Tra le numerose pubblicazioni: Montale (1991), La strana pietà. Schede sulla letteratura e la scuola (1999), Parafrasi e commento. Nove letture di poesia da Francesco d’Assisi a Montale (2002), Dante e la nascita dell'allegoria. Il primo canto dell'Inferno e le nuove strategie del significato (2008), usciti tutti presso Palumbo, Palermo; Le idee della letteratura. Storia delle poetiche italiane del Novecento (La Nuova Italia Scientifica e poi Carocci, Roma 1994 e poi 2011). In collaborazione con R. Luperini ha pubblicato numerose opere scolastiche, tra cui La scrittura e l'interpretazione. Storia della letteratura italiana nel quadro della civiltà e della letteratura dell'Occidente (3 voll. in 4 tomi, Palumbo, Palermo 1999) e un commento antologico alla Commedia dantesca (Le Monnier 1989, n. ed. 2009).

Basta Dante (oggi)?
Una risposta al Perché leggere Dante (oggi)? di Pietro Cataldi.[1]

Non è per vocazione all’irriverenza se diffido di quasi tutti i discorsi sui valori, che di solito si aggirano in nebulosità idealistiche buone per tutte le stagioni e tutti i luoghi e quasi mai si misurano con le pratiche individuali e sociali, preferendo volare come aquiloni inafferrabili sempre alto, troppo alto.
Quando poi a parlare di valori in tempi grami come i nostri e a riproporcene uno, Dante addirittura, è uno studioso che stimo come Cataldi, mi trovo spiazzato e imbarazzato nell’esprimere il mio dissenso almeno per tre buone ragioni:
1. Cataldi si riferisce ad un contesto reale, alla scuola d’oggi; e ha presente figure concrete: studenti riottosi, ministri pragmatici, insegnanti presi tra due fuochi (gli studenti e i programmi ministeriali);
2. rimanda a un monumento quasi inattaccabile come Dante, dal quale per secoli i discorsi epocali o contingenti fatti sui valori hanno succhiato energia universale;

sabato 23 luglio 2011

Su Franco Tagliafierro*
Il palazzo dei vecchi guerrieri
Lampi di stampa, Milano 2009

*Franco Tagliafierro (Teramo, 1941). Narratore. Ha pubblicato tre romanzi: "Il Capocomico", "Strategia per una guerra corta", "Il palazzo dei vecchi guerrieri"; e "Racconti a orologeria".

 

12 dicembre 2010 (anniversario della strage di Piazza Fontana)

 


 

Il Palazzo. Ah, quale simbolo!


1. Un romanzo amarissimo

 

Il palazzo dei vecchi guerrieri è per me un romanzo amarissimo. Perché, vecchio quasi quanto i personaggi protagonisti, vi riconosco senza fatica, pagina dopo pagina, gli echi disastrosi e deprimenti della storia politica italiana del secondo Novecento. E perciò, malgrado le sapienti e garbate velature ironiche (e autoironiche) del narratore, non esito a collocarlo nel filone pessimistico del romanzo italiano.  Magari unicamente per la scelta finale del  protagonista, Macario Bentivegna (nome di comico e cognome augurale di speranza),  di fare da solo tabula rasa - e per «legittima difesa», e con l’esplosivo - del Palazzo a cui era così affezionato. Gesto che l’avvicina all’anonimo protagonista de La vita agra di Bianciardi, il quale voleva far saltare in modi simili il «torracchione»; e prima ancora al protagonista de La coscienza di Zeno di Svevo, che s’attendeva la guarigione dell’umanità malata da «una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni».

Su Sandro Briosi
Simbolo
La Nuova Italia, Firenze 1998


27 giugno 1997
Caro Sandro,
                    ho letto (due volte) il tuo saggio in dischetto sul Simbolo, appassionandomi su varie questioni […]. Ora in questa lettera, districandomi dal labirinto concettuale in cui mi hai guidato e dai duelli con semiologi neopositivisti, antropologi e filosofi pansimbolisti, critici lacaniani e benjaminiani, cerco di precisare,  a mio uso e consumo innanzitutto, le zone di sintonia, di simpatia o di perplessità su quanto scrivi.

 Mi ritrovo o simpatizzo in gran parte con la tua lucida e responsabile delimitazione del campo:  riconoscimento dell’emotività come  fonte del senso del simbolo (6),  base della costruzione d’immagini nella poesia  e di una comunicazione legata al vissuto personale in contrasto sia con la concezione puramente razionale e ultracodificata dei positivisti-semiologi  sia con il pansimbolismo. Anche per il fatto di non avere conoscenza diretta dei  tanti autori da te esaminati, la mia lettura si è lasciata attirare da brani, singole affermazioni che smuovevano in me curiosità e rimandi a nozioni o problemi afferrati altrove.

Su Sandro Briosi
Introduzione agli atti
del convegno "Il simbolo oggi"
in "L'immaginazione riflessa" n. 1 1995


                                                                                                   Cologno Monzese 14 feb. ‘97
Caro Sandro,
                 rileggo, sulla rivista L’IMMAGINAZIONE RIFLESSA,  la tua introduzione agli atti del convegno   Il simbolo oggi del ‘94 e spulcio fra gli interventi, cercando di capire  cosa si muoveva nella cerchia dei partecipanti, perché vi partecipai, cosa inseguivo con le mie domande ai relatori e, infine, cosa  ci faccio nella tua Associazione... Orientandomi alla meglio posso simpatizzare (da tifoso culturale?) per l’”antiplatonismo” di Brioschi, afferrare alcune delle “questioni” interne (“tra fenomenologi”) o ritrovare “schieramenti” (quello  tuo e quello di Romano Luperini.. ). Ma poi sono costretto a chiedermi: l’‘interdisciplinarità’ che senso può avere per me, che sono fuori o ai margini delle discipline? […]

giovedì 21 luglio 2011

Su Maria Maddalena Monti*
Voci e Passi
EdiGiò, Pavia 2011

* Maria Maddalena Monti è stata insegnante nelle scuole superiori, collabora con circoli e associani culturali e partecipa al Laboratorio Moltinpoesia.

Fin dal titolo (Voci e Passi), dall’immagine scelta in copertina (la pastorella assorta che Pissaro dipinse in un Ottocento che all’elegia ancora concedeva uno spazio), dalla dedica (al marito), questa raccolta di Maria Maddalena Monti segnala  la sua fisionomia di fondo: una sensibilità  di donna che si apparta nel familiare tra  cose e persone amate (a volte trapassate) e invita  a una attesa sublimante, pacatamente religiosa.
Di chi saranno le voci o i passi?  Sfogliando l’indice e le  sessanta paginette, si capirà presto: le voci sono per lo più quelle della natura; i passi (consueti) quelli ansiosi della bimba Laura (p. 17), che ha scoperto coi suoi  occhi più nuovi  il nido dei merlottini, o di altre figure comunque care.

lunedì 18 luglio 2011

Su Anna Ciufo*
"Katana e altre poesie"
Spring Edizioni, Caserta 2007

* Anna Ciufo (Formia, Latina 1955) vive e lavora a Salerno. Ha pubblicato, oltre a "Katana e altre poesie", altre due raccolte, "Di questi giorni parlati" e "Il timore accigliato delle pause" (2004).

31 gennaio 2008

UNA PICCOLA DON CHISCIOTTE, FORSE…
Sette appunti 

1.

Katana e altre poesie non è un’autobiografia distesa in versi. Nel libretto (una cinquantina di pagine, prefazione di Gerardo Zampella e postfazione di Maria Olmina D’Arienzo) gli indizi che incoraggerebbero tale interpretazione sono assai scarsi e cifrati. Ciufo allude alla sua vita nei modi sempre obliqui della poesia. Facile supporre che il «tu», a cui si rivolge, è maschile, è la persona amata-odiata, col fantasma della quale fa i conti, da quando il legame deterioratosi ha lasciato soltanto rovine (le «nostre rovine», p. 9). Ma, in tutta la scena di questa poesia, gli altri (i «voi», la gente: amici, conoscenti, o anche sconosciuti) sono labili comparse. Sola eccezione la Madre - maiuscola! - a cui è dedicato L’ultimo canto (pag. 47). Nel componimento a lei dedicato gli altri sono chiamati per attimi come testimoni. Quasi per accertare la fisicità della dolente figura materna («Voi l’avete vista camminare come in trappola, / misurare la lunghezza della propria inquietudine / navigando vie senza timone né rosa dei venti», p. 47) e svanire subito dopo. Resta solo la figlia invocante: «Madre, lontana, / madre sfuggita al mio pianto in un assaggio d’alba / che ha leccato il buio con violenza» (p. 47). Gli altri, la società, il mondo “reale” fanno, dunque, da fondale sfuocato;minaccioso però e fonte di insicurezza. La seconda sezione (Cronache), sviluppandosi in discorso meno secco e più disteso della prima, accenna pure a una «città frolla, sfaldata» (p. 33) e alla tipologia dei suoi abitanti: «quelli che anneriscono il buio con la violenza, / gli ometti con le pose da grand’uomo, / gli oratori senza convinzioni, / i giornalisti che sterzano fra false notizie, / chi senza vanga dissoda terre / e le semina a pietre» (p. 34). Ma, come per il «tu» e il «voi», questa folla, catturata da attività poco indagate o rese per vaghe metafore, che disturba e sta comunque per conto suo, non interessa davvero: è anzi da mandare «al diavolo» (p. 34).

domenica 17 luglio 2011

Su Sandro Briosi*
Il sogno raccontato da Svevo
in "Allegoria" n.14 1993

*Sandro Briosi (1941 - 1998) è stato ordinario di Letteratura italiana a Siena, ha insegnato nelle università di Milano, Groningen, Amsterdam, Toron­to e Montreal. Ha dedicato volumi e saggi alla letteratura italiana del primo Novecento (Vittorini, Marinetti, Serra, Svevo), alla filosofia di Sartre e a questioni di teoria letteraria (Il senso della metafora, 1985; Il simbolo e il segno, 1993). Ha fondato e diretto l’Associazione per lo studio del tema "Simbolo, conoscenza, società". 

 

Cologno Monzese, 10 gennaio 1994

 

Gentile prof. Briosi,

[ ... ] ho letto sul n. 14 di Allegoria il suo articolo: Il sogno raccontato da Svevo e proprio in coincidenza con alcune mie prove di "narratorio" a partire da sogni [ ... ].

Verso la sua tesi di fondo mi trovo in dissenso: il modello che lei valorizza di scrittore stoicamente eppur saldamente «condannato alla coscienza» cozza con la mia constatazione che reali «sorprese» hanno già cambiato la vita (mia e degli altri) e che la psicoanalisi - almeno quella che vado conoscendo - lungi dal produrle in proprio, dal richiedere abbandoni all'inconscio o «alla diagnosi dell'analista», è interrogazione critica e non scontata; quindi neppure «scienza» che vuole stringerci «entro le maglie del caso clinico».

Essa ha corroso semmai lo spazio "irreale" dell'immaginazione, fortezza della letteratura abbastanza espugnata ormai: sia da chi, come Svevo, ha condotto «alle conseguenze estreme i presunti valori assoluti della razionalità e della coscienza» sia dagli altri «maestri del sospetto»[1] anche a lei ben noti.

Su Franco Brioschi*
Un mondo di individui:
saggio sulla filosofia del linguaggio
(letto in fotocopia
poi Unicopli, Milano 1999)

* Franco Brioschi (19452005). Fu docente di Critica e teoria della letteratura, Stilistica e semiotica del testo all'Università di Milano, e collaboratore di importanti riviste. Come consulente di Giulio Bollati contribuì alla nascita della casa editrice Bollati Boringhieri. Altre notizie su http://it.wikipedia.org /wiki/Franco_Brioschi                 

  

10 maggio 1999

 Caro Brioschi,

              avevo compiuto a suo tempo una marcia di avvicinamento ad alcuni tuoi lavori (su Quaderni Piacentini, La poesia senza nome, Elementi di teoria letteraria) e un amico insegnante, F. T., mi stava indirizzando da te per un parere su mie poesie.
Poi ci sono state le derive degli anni ’80, e solo adesso, in un tempo diverso e per me alquanto orrido, ho trovato lo spunto per incontrarti alla ricerca di un possibile terreno di dialogo collegabile all’amicizia e alle iniziative culturali da prendere qui a Milano dopo la morte di Sandro Briosi[1].
Mi hai proposto  il tuo ultimo saggio, Un mondo di individui. L’ho letto, con un grado di concentrazione disturbato dai notiziari di guerra; e, come facevo di fronte ai lavori di Sandro, metto le mani avanti dichiarandomi lettore guardingo, perché consapevole in anticipo  dei propri limiti e forse dei diversi orizzonti di attesa che abbiamo.

venerdì 15 luglio 2011

Su Matteo Bonsante*
Poesie 1954-2004
Aliante Edizioni
Polignano a mare 2004


*Matteo Bonsante (1935 Polignano a mare, Bari) ha insegnato nella scuola media superiore. Ha pubblicato  varie raccolte poetiche: Poesie 1954 - 2004 (Bilico, Ziqqurat, Sigizie, Esperidi, Nugelle, Prime poesie), Iridescenze (2007), Dismisure 2010, due romanzi brevi: Una linea di fuga (2001) e Sperduto 2003 e i lavori teatrali Caldarroste (1981), Dietro la porta 1984, Per solo donna 2004.

 

 

Aprile 2007
Gentile Matteo Bonsante,
non so bene se il mio parere la “illuminerà” come s’aspetta.
Sono, infatti, molto combattuto nel pronunciarmi sulla sua raccolta e per due fondamentali motivi.
Primo: mi trovo di fronte al libro di una vita, complessivo, studiatissimo nei singoli versi e nella sua struttura, con testi forse anche troppo  autocommentati, ma sempre con grande rigore filosofico. Esso m’incute (è la parola esatta nel mio caso) rispetto; e, per avvicinarne e vagliarne i significati più profondi, richiederebbe un tempo di lettura che per vari impegni al momento non posso concedere.
Secondo: per scelte di vita e culturali mi sento ormai estraneo alla cornice culturale del simbolismo, nella quale la sua poesia coerentemente si è iscritta e ha operato per circa un cinquantennio.[...]

Su "Le tentazioni di Marsia"
di Mario Fresa e Tiziano Salari
(Lettera a Matteo Bonsante)



12 LUGLIO 2007

Caro Matteo,

[...]Ogni notizia  di morte o grave malattia mi turba e mi mette in posizione di distacco dalle faccende più quotidiane, che pur ci fanno sentire vivi e in qualche modo utili agli altri.
È da questa posizione che voglio riflettere anche su quanto mi scrivi a proposito de LE TENTAZIONI DI MARSIA.
Non mi meraviglia – l’hai intuito in partenza – il tuo accordo con le tesi di Salari e Fresa.
È una posizione,  questa, “nobile”, spalleggiata da una secolare tradizione, consolidatasi in opere di valore indiscusso e oggi – mi pare - in piena sintonia con lo “spirito dei tempi” che ha riproposto religioni e fondamentalismi in primo piano.
Io – purtroppo? per fortuna? per scelte culturali? per lezioni tratte dall’esperienza, come ti raccontavo – sento estranea  questa via «sacerdotale» dell'ascesi poetica.
 Non resta che confrontarci, ribadire  dissensi o riconoscere punti di convergenza, quando possibile.

Su Matteo Bonsante
Sperduto
(romanzo stampato in proprio)
Polignano a Mare 2003

Gennaio 2008
Caro Matteo,

 durante le vacanze di fine d’anno sono riuscito a leggere Sperduto e te ne scrivo brevemente per riallacciare il nostro confronto un po’…in letargo.
Ti dico subito la mia prima immediata impressione: è un libro di una semplicità e a volte di un candore d’altri tempi. Ci trovo un andamento narrativo che ha un forte legame con l’oralità, come di racconto trasmesso a un pubblico familiare, complice dell’autore, sicuramente non scettico o ostile o sgamato come quello d’oggi, che prevale soprattutto negli ambienti “acculturati”.
Il contenuto – suppongo – ha un fondamento autobiografico e questo mi rende esitante anche nel giudicare il risultato estetico.
Il dramma infantile di un bimbo che ha perso il padre nella seconda guerra mondiale e che diventa per questo un diverso nella comunità d’appartenenza è pesante.  Io ho avuto dei cugini orfani di padre e in tutti, riflettendoci, ritrovo una tendenza alla chiusura, alla scontrosità e ad una forte cupezza, che non si è mai più veramente sciolta nei rapporti con gli altri e le altre.
Il lato umano di una vicenda del genere può restare a lungo oscuro e incomunicabile in certi casi per sempre.[…]

Su Anonimo
Testo inedito

19 ott 2004
Caro A.,
cerco di mettermi con un po’ d’ironia nei panni di commentatore/suggeritore che mi richiedi.
Parto dal testo che mi hai mandato. Mi colpiscono a livello formale la chiusa di ben cinque strofe con un gerundio (evocando, lamentando,cercando, accecando,scivolando) e l’inizio di quattro di esse con il complemento di specificazione (Di gente, Di gente, Di guerre, Di volti).
Per quest’insistenza di forme ripetitive, il tono generale   della poesia si fa, secondo me, depresso e pesante e non sembra riscattarsi nel finale con l’esclamazione (Ohilà!), che è subito smentita dal senso di ripetizione (Ogni giorno come l’altro).

Su Anonimo
Testi inediti

giugno 2006

Caro A.,

[…]Dei tuoi poemetti che nel frattempo ho letto, mi colpisce innanzitutto una crudezza di termini, una schiettezza troppo ostentata.
Prendi In fretta e furia... Non mi scandalizzano certe espressioni («ti farai chiavare», «godere con le tue dita») ma lo sguardo troppo esterno (e, sotto sotto, moralistico) che getti sulla condizione umana di una donna  che si degrada.  Se uno vede, che so, in una prostituta quello che ci vede la gente normale o si ferma alla superficie sentimentaloide («senza baci né carezze sul tuo viso,/ né occhi persi davvero dentro i tuoi») o usa lo stesso linguaggio generico della vita quotidiana senza   dargli un senso, uno scatto diverso da quello che già ha («Qualcuno da dimenticar subito dopo,/ dal quale potrai ottenere dei favori, / un lavoro, dei soldi, una carriera,/ o addirittura un po' d'affari sporchi, /come socia ben ricompensata»),  non aggiunge nulla o poco a una realtà risaputa.

Su Franco Arminio*
Circo dell'ipocondria
Le Lettere, Firenze 2006

*Franco Arminio (Bisaccia, Avellino, 1960) è poeta, scrittore e documentarista della vita odierna dei paesi dell’Irpinia orientale. Tra le sue numerose pubblicazioni:  Cimelio dei profili (1985), Atleti (1987), Viaggio nel cratere (2003), Circo dell'Ipocondria (2006), Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia (2008), Cartoline dai morti (2010) e Oratorio bizantino (2011)



Cologno Monzese 4 gennaio 2007

Caro Franco,
mando a te (e per conoscenza a D) la bozza di un eventuale articolo su Circo dell’ipocondria da pubblicare in uno dei prossimi numeri di Poliscritture*, ma solo dopo che avrò raccolto osservazioni da parte tua e sua e ulteriori miei ripensamenti.
Dalla bozza ripulirò senz’altro i sovrabbondanti riferimenti alle pagine del libro, che per ora paiono utili per controllare facilmente i passi a cui ho fatto riferimento.
Come vedrai, confermo il mio atteggiamento critico. Ma la distanza non deve nascondere la stima per la ricerca estetica che trovo predominante nel tuo lavoro e il desiderio di superare eventuali miei pregiudizi. Una tua replica pubblica potrebbe, se accetti, affiancare il mio scritto.
Ti saluto sperando che il dialogo tra noi possa comunque cominciare
Ennio

Su Silvio Aman*
Devozioni
Dialogo libri
Olgiate Comasco 2003

*Silvio Aman, poeta e saggista. Nel 2000 ha fondato e diretto l’annuario “Hesperos”. Ha pubblicato per la poesia Sinfonia Alpina (2004) e Nel cuore del Drago (2005). Tra i saggi: Memoria, informazione e mimetismo in Teatro naturale di Giampiero Neri (1999) e Robert Walser. Il culto dell’eterna giovinezza (2009). 

 23 aprile 2005


Caro Silvio,
ho letto con l’attenzione che mi posso concedere in queste settimane la raccolta che mi hai inviato (e di questo ti ringrazio ancora) e qui mi limito a raccogliere e a mandarti dei primi appunti sulle impressioni che i tuoi versi mi hanno suscitato. Ovviamente mi perdonerai per le forzature interpretative o le incomprensioni.

Parto dal lessico. Le tue scelte mi permettono di farmi un’idea più precisa del tuo orientamento culturale generale (che non conosco, ma intuisco in parte anche dallo scambio che abbiamo avuto sul problema della “moltitudine poetante”). È un lessico medio alto, caratterizzato da  una terminologia non comune (filattèri, un colombo ‘ cambiavista ’, tuga, cangianza, millenne) e che attinge a francese e tedesco con dimestichezza. Anche le citazioni in exergo (quella austera di Simone Weil, quella di Pater) o  i riferimenti a personaggi della mitologia mi segnalano le tue “paternità” culturali o i modelli di riferimento. Ne deduco una frequentazione non provinciale dei punti alti della cultura borghese europea del primo Novecento.

Su Cristina Alziati*
A compimento
ciclostilato in proprio 2003

* Cristina Alziati (1963) è traduttrice e vive tra Berlino e Roma.  Con la sua prima raccolta A compimento (2005) è stata finalista al "Premio Viareggio-Repaci" e ha vinto il "Premio internazionale di poesia P.P. Pasolini". Collabora con varie riviste e con il Centro Franco Fortini di Siena.
27 maggio 2004

Cara Cristina,

[...]In treno ho avuto modo di leggere le tue poesie.Devo dirti che non le riesco a separare dalla figura, dai toni e dai temi di Fortini. Questo - sarò sincero - in parte è un complimento, in parte è una riserva. Apprezzo in pieno la compatezza della raccolta, la secchezza delle immagini, la concisione del dettato. Sono tratti della forma che svelano un grande rigore morale e civile, una ricerca di "verticalità", di parole ultime, definitive ed essenziali. Ma - e qui ti pongo forse crudamente un problema - non sei Fortini, non puoi esserlo. L'ombra sua (e l'ombra dei suoi autori) a me risulta troppo incombente e mi pare di ritrovarla non solo nei temi, nei toni, ma a volte anche nella sintassi. Questo, se non sbaglio, produce dei cortocircuiti fra quotidiano e ideologia (ad es. in "Sui primi disegni di mia figlia" o in "Quale anniversario") e rende a volte troppo "ermetico" e, insomma, poco disteso il legame fra loro, che pur esiste, ma viene come bloccato da una volontà sapienzale e altera. Prendi queste osservazioni per la sincerità che le caratterizza...

Su Velio Abati*
Motivi
edizione fuori commercio
Grosseto 1997

*Velio Abati (Grosseto 1953). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, su Andrea Zanzotto e Luciano Bianciardi e curato il volume Franco Fortini. Un dialogo ininterrotto. Interviste 1952-1994. Ha diretto per vari anni la Fondazione Luciano Bianciardi di Grosseto ed è autore di racconti e poesie.

 

Cologno Monzese  30 giugno 2000

Caro Velio,
                    non vorrei lasciar passare troppo tempo prima di dirti qualcosa del tuo Motivi, che ho letto con coinvolgimento e interesse.  [...].
Prendi questi appunti solo come un tentativo di approssimazione e, se e dove ho toppato, fammelo sapere.Con stima e simpatia
                                                    Ennio